La semiotica dei colori

Per quanto siamo abituati a riconoscere ai colori forti proprietà connotative, e pressoché – almeno nella cultura dominante – universalmente condivise, una semiotica che prenda in esame le unità cromatiche non pare così frequentata. Eppure nella comunicazione odierna i colori giocano un ruolo fondamentale.

D’altra parte affrontare questa materia non è facile poiché i colori, allo stesso modo dei suoni, hanno una scarsa semanticità rispetto – per esempio – alla figura, e tutti i significati che normalmente vengono attribuiti loro sono inevitabilmente di natura emotiva. Questo fa allora sì che tale ricerca venga spesso condotta a partire da presupposti relativisti e così del resto fa Marialaura Agnello in Semiotica dei colori. È infatti un’illusione, a differenza di quanto l’autrice sostiene, che la semiotica possa conciliare soggettivismo e oggettivismo giacché un qualsiasi sistema di segni agisce all’interno della cosiddetta semiosfera, ossia uno scenario di significati condivisi, il che rende dipendente la semiotica stessa dai contesti culturali. Tant’è che tutti gli schemi del libro si riducono a un’applicazione costante – e certamente corretta – del quadrato semiotico di Greimas che mette in relazione opposti e contradditori. Una volta cioè dato per assunto, storicamente, il significato di certi colori, si procede per negazioni e contrari. Siccome quindi i colori ci dicono di che parlano attraverso la differenza che hanno con gli altri colori, possiamo allora definirli non simbolici ma semisimbolici. Il che significa che un colore ha senso solo se in relazione con uno del senso opposto. È evidente che qui il relativismo è intrinseco a un metodo che permette sì di utilizzare le formule in qualsiasi caso semplicemente invertendo i termini, ma che esige una relazione costante senza la quale nessun colore può considerarsi in assoluto. Ovviamente il fatto che i simboli abbiano validità soltanto all’interno dei testi in cui sono stati costituiti il vantaggio e al contempo il limite della semiotica. Però alcune interpretazioni appaiono forzate ed estremamente personali come le osservazioni sulla desaturazione dell’azzurro di un particolare packaging di pasta (invero, tutte le scatole di pasta della marca presa in esame riportano sul retro la sfumatura). Tuttavia le analisi – dai prodotti commerciali al cinema – che l’autrice fa, così coerenti col procedimento messo in atto in questo libro, sono quanto di buono c’è da prendere dal testo. Ma appunto ciò che invece manca è una critica dei fondamenti del senso dato ai colori: dalle pagine talvolta sembra emergere l’idea che i significati si siano nel tempo appiccicati ai colori quasi casualmente o al fine di dare il complementare a un colore dal carattere semantico meno equivoco, quando invece – senza necessariamente scomodare i neuroscienziati – non andrebbero sottovalutate considerazioni di tipo empirico per convincere che, per esempio, certi schemi condivisi sul rapporto tra verde e natura tali sono per il semplice fatto che da sempre il verde è uno degli aspetti che percepiamo della vegetazione, sicché le conseguenze semiotiche sono del tutto spiegabili. Una semiotica più ricca e originale – forse in un testo più ampio di questo, che si presenta come un’introduzione alla questione – potrebbe proprio partire da una completa configurazione dello spettro cromatico, delle origini di ogni significato di toni e tinte e – se si vuole – della messa in relazione di tutti i riferimenti tarati sulle singole culture. Magari per scoprire che i tratti in comune sono più di quelli differenti e tornare lecitamente a domandarsi quanto di “assoluto” possa risiedere nel carattere di un colore.

 

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Semiotica dei colori

Di Marialaura Agnello

Carocci, pagg. 128, Euro 11,00

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