Archive for luglio 2009

Magritte, pittore delle essenze
luglio 29, 2009

Se c’è stato un pittore “metafisico”, a mio avviso, non è stato de Chirico, bensì René Magritte: al cospetto di quadri come I due misteri o Decalcomania, non riesco a non pensare che abbia dipinto il “quid” delle cose.

i due misteri

Nel primo caso la pipa che appare grande e grigia (incolore) alle spalle della riproduzione del famoso Ceci n’est pas une pipe, sembra essere la soluzione all’enigma che quel quadro poneva, ovvero “la pipa”. Cioè, se è vero che quello sul cavalletto è il disegno di una pipa, quella estremamente sproporzionata – e priva di calligramma – che sembra fluttuare nel nulla, pare essere l’idea della pipa, la pipa nella sua essenza.

E così in Decalcomania, ove la figura dell’uomo pare apparentemente spostarsi per lasciarci vedere cosa l’uomo stesso vede al di là della tenda. Ma in realtà lo scopo non è quello, è piuttosto di farci capire il confine entro il quale un paesaggio può rientrare nella nostra percezione; illustra la nostra finitezza di fronte all’incommensurabilità  del cielo e del mare che noi comprendiamo soltanto in porzioni, parti, quelle che il nostro corpo può sentire. Siamo esseri finiti, limitati; è la nostra ontologia.  E Magritte l’ha rappresentata.

decalcomania

Molto stimolante e acuto, anche se per esempio sulle opere suddette il pensiero non somiglia troppo al mio, l’agile libretto di Michel Foucault intitolato appunto “Questo non è una pipa”. Leggetelo, ne vale la pena.

Steve Hackett
luglio 26, 2009

Ho parlato e scritto molto spesso di Steve Hackett. Sempre disponibile a interviste, un po’ meno a parlare dello scioglimento coi Genesis, Steve ha diversi motivi per essere stimato. Uno è che scrive musica bellissima; un altro è che quella che ha donato ai Genesis ha contribuito fortemente al suono del gruppo; e poi che – secondo me – la chitarra va suonata proprio come fa lui, scegliendo poche note, quelle giuste. Ha sempre parlato di due “anime” (le chiama così) che convivono in lui, una acustica che ci ha regalato capolavori come questo

e una elettrica con la quale ha fatto cose come questa

stasera è a Tivoli a dar sfogo alla sua “anima elettrica”. Io sarò lì

Bacharach (il mito), Karima (‘mazza che voce)
luglio 25, 2009

Karima è uno di quei rari prodotti positivi di “Amici”. Bellissima voce, estremamente curata, di certo è una privilegiata a essere stata scelta da Burt Bacharach ma se lo merita. Ha aperto lei ieri a Roma il concerto del mito americano, una mezz’ora di musica con quattro o cinque pezzi piuttosto mediocri che puntano tutto sulla voce, scritti proprio con la consapevolezza che l’interprete li saprà valorizzare. Ma la chiusura è emozionante: Karima regala una splendida e commovente versione di You are not alone di Michael Jackson.

Quando entra Bacharach si fa un po’ fatica a credere che quell’omino sorridente abbia più di 80 anni. Ha un’aria giovanile – molto meglio di quella costruita di Baglioni -, indossa la sua solita giacca con bottoni dorati, la solita camicia bianca, soliti jeans e scarpe da ginnastica (credo New Balance). Appena siede al piano si intravede subito il mitico calzino bianco, della serie: non so cosa sia lo stile ma io ne ho uno. Bacharah canta poco ormai, anche se ha una bella voce roca che ricorda un po’ quella di Clint Eastwood; si serve piuttosto di tre ottimi cantanti, due solari donne dal sorriso contagioso, una con una voce più acuta e l’altra più profonda, e un maschietto, anche lui bravo. Dire che è stato un concerto stupendo sarebbe sufficiente a congedarci qui.  Ma la vera sfida per chi ha assistito alla serata è cercare di capire se davvero Bacharach abbia trascurato qualche suo pezzo noto. Cioè è sembrato che, pur dovendo ricorrere spesso a dei medley con versioni abbreviate di brani mitici, abbia eseguito davvero tutto il suo repertorio conosciuto. La sensazione che personalmente ho provato ieri è stata che non si arrivasse mai al pezzo sconosciuto. Veniva da pensare: beh, ora che ha suonato tutto ciò che conosciamo, farà qualcosa di diverso. E invece no, eccolo che riparte snocciolando un’altra serie di incantevoli pezzi facendo esclamare: ma certo, c’è anche questo capolavoro! Questo significa due cose: o che conosciamo tutte le canzoni Bacharach, o che le sue canzoni sono così belle e note che è impossibile non conoscerle. Per questo ieri mi sono definitivamente convinto che assieme a Gershwin e Kurt Weill, Bacharch sia stato il più grande autore di canzoni dell’epoca contemporanea. 

Basta aspettare poco e tra un po’ inizieremo a dire lo stesso di Elton John e Paul McCartney…

Hancock, Lang e lo “scandaloso” Fayenz
luglio 21, 2009

Quello che penso del concerto di Hancock e Lang all’Arena di Verona l’ho scritto su Repubblica di ieri.

Mi è dispiaciuto però constatare come a volte chi si scaglia sulla categoria dei critici musicali non abbia del tutto torto. Accanto a me al concerto era seduto Franco Fayenz, noto e autorevole critico di musica jazz. Ora, a prescindere dal genere di cui ci si occupi, io credo che per svolgere la nostra professione la musica vada conosciuta pressoché tutta e, almeno nel proprio àmbito, a fondo. Mi ha lasciato perplesso vedere Fayenz durante la pausa del concerto andare in giro a chiedere da quale opera fosse stata tratta l’ouverture mozartiana di apertura: era tratta dalle Nozze di Figaro, è un’ouverture che conoscono anche i sassi. Mi ha lasciato letteralmente basito invece sempre lo stesso signore che a qualcun altro ha chiesto, dubitabondo, se il V. Williams segnalato nel programma come l’autore del concerto per due pianoforti e orchestra coincidesse con John Williams! Ma che c’entra?! Doveva essere un errore di chi ha compilato l’indubbiamente incompleto programma (un fogliaccio di carta con informazioni appena sufficienti)? O se c’è scritto V. semplicemente non può essere J.? Ovvio che il problema non è neanche nell’iniziale visto che i due sono compositori molto diversi e non risulta che l’autore delle colonne sonore di Guerre stellari, Lo squalo e Indiana Jones abbia scritto un concerto per due pianoforti…

Infine nella sua – un po’ acida – recensione sul Giornale leggo che i due pianisti hanno eseguito Ma Mère l’Oye con l’orchestra…. ma quello di Ravel è un pezzo pianistico a quattro mani, l’orchestra era a riposare!!! Avrei pensato si trattasse un errore redazionale se non avessi avuto le due esperienze suddette. Esperienze che mi infastidiscono perché sviste o lacune grossolane sono plausibili per un giornalista giovane o – giustamente – sconosciuto, ma non sono giustificabili se ad averle è uno dei decani della critica musicale italiana.

Senti che luna
luglio 20, 2009

Le canzoni sulla luna ci sono state prima dell’uomo. Neanche la radio poteva stare a guardare le celebrazioni per i 40 anni dallo sbarco lunare, e così ecco che Colpi di luna, un nuovo cd della collana Via Asiago 10, raccoglie – attraverso una poderosa ricerca negli archivi Rai – una serie di brani lunari, alcuni conosciutissimi altri più rari, tutti rigorosamente precedenti all’allunaggio. La vera chicca, che determina anche l’importanza editoriale di questa uscita fonografica, è costituita dalle radiocronache e dagli interventi di giornalisti, intellettuali, poeti e scienziati – da Alfonso Gatto ad Alberto Moravia, da Oriana Fallaci a Ginestra Amaldi – che all’epoca dissero la loro sulla luna e su quella grande missione di conquista.

Karaoke Horror Bertè Show
luglio 19, 2009

Ieri ho avuto il coraggio di assistere al “concerto” di Loerdana Bertè presso il Gay Village in Roma. Si potrebbe dire che l’organizzazione della manifestazione era pessima e che il concerto è cominciato con irritante ritardo, ma non lo diciamo (infatti l’abbiamo scritto). Quello che mi è parso assolutamente offensivo e ripugnante è stato che ho assistito a uno spettacolo di surreale cabaret, di triste affermazione di uno stato di salute non certo brillante, piuttosto che a un concerto. Secondo voi può chiamarsi concerto uno show basato su una presentazione alla maniera radiofonica di canzoni eseguite su basi preregistrate e interrotte continuamente da lei stessa (c’era solo lei on stage e un individuo non identificato a tenerla in equilibrio) che chiedeva al fonico di aggiustare i volumi? Cioè, è normale pagare (o non pagare) un biglietto per seguire un personaggio che riesce a salire sul palco soltanto se sospinta da due persone e a restarci esclusivamente se sorretta da una sorta di uomo-ombra? Per ascoltare i deliri di una delle nostre migliori cantanti (l’unica assieme alla compianta sorella e a Riccardo Cocciante che riesce a cantare urlando e che trasforma ogni grido in canto) che per presentare Musica e parole (pezzo non eccelso, orecchiabile ma neanche originale) scomoda Stravinskij, Verdi e Bob Dylan senza che si capisca il perché? Ha fatto ridere Loredana, ancora in possesso di una grande voce (unica cosa che le è rimasta oltre al look trasgressivo), ma non perché comica, bensì perché ridicola. E questo dispiace poiché se non la si aiuta a recuperarsi (a cominciare da concerti veri), difficilmente potrà ancora darci in futuro qualcosa di importante che faccia parlare di lei come artista.

Mariza
luglio 10, 2009

Può il malinconico fado portoghese esaltare, generare gioia, far sorridere persino? Certo che può, soprattutto se a cantare è Mariza, interprete fascinosa e piuttosto giovane (classe 1973), considerando che alla memoria sprattutto degli italiani i nomi più familiari sono quelli di Dulce Pontes e di Teresa Salgueiro (altra generazione – senza contare la donna del fado per eccellenza, Amalia Rodrigues). Il concerto di ieri sera al Parco della musica di Roma, svoltosi all’aperto in una serata sorprendentemente mite, poteva riconciliare col fado – col destino, apppunto – anche il più diffidente degli ascoltatori. Mariza, alta, bella, magra, accompagnata da musicisti straordinari, è cantante appassionata, coinvolta, che usa il palcoscenico come pulpito (laico, buono) per tentare di restituire la passione, il pianto artisticamente costruttivo, al pubblico – un suo popolo – da cui questo stesso affetto deriva. Ovvero lei, con un linguaggio musicale che le appartiene esclusivamente, ci racconta quello che noi stessi proviamo ma che non siamo in grado di esprimere in quel modo. E’ uno specchio che riflette, amplificandolo e caricandolo di una bellezza che le sole parole non potrebbero esprimere, i nostri sentimenti.

Filosofi come i Masters
luglio 9, 2009

Philosophical Powers

Arte all’Aquila, città da ascoltare.
luglio 8, 2009

L’opera d’arte come organismo vivente è un concetto molto indagato, su cui le riflessioni (anche se solo di tipo mistico) si sono spese da sempre. È un tema però particolarmente caro all’arte contemporanea che ha cercato spesso di far coincidere due piani classicamente separati: oggetto artistico e spettatore. Non sempre i risultati sono stati felici ma il caso del compositore Michelangelo Lupone e dell’artista visiva Licia Galizia è particolarmente interessante. Musica in Forma, installazione sonora di arte adattiva con successo realizzata a Roma e che verrà riproposta all’Aquila stasera alle 22.3o assieme a diversi altri spettacoli musicali, è un pregevole tentativo di coinvolgere attivamente il fruitore dell’opera. Il tutto consiste in tre sculture modulari basate sulla tecnologia dei Planofoni, ingegnoso parto del CRM. Si tratta di sistemi vibranti costituiti da pannelli di vari materiali (metalli e legno in particolare) in grado di diffondere un suono che si modifica all’azione del pubblico su di essi. La cosa che infatti colpisce subito di queste forme magnifiche, oltre alla loro bellezza e all’impatto visivo, è che la Galizia permette qualcosa di straordinario, difficilmente ammesso da altri artisti, ovvero: mettere le mani sulle proprie opere. Il visitatore può interagire davvero con la scultura modificando la forma delle lastre, cambiandone la posizione, sfregandole. I pannelli vibrano per mezzo di attuatori invisibili distribuiti sull’opera e connessi a una scheda madre a sua volta controllata da un computer. Le opere stesse poi interagiscono tra loro: «I Volumi adattivi – spiega Lupone – hanno una certa indipendenza. Non si cerca una conoscenza dell’oggetto da parte del fruitore, bensì un ascolto dell’opera». Dunque il rapporto causa effetto è completamente rivisto, fa capo a una concezione quasi orientale, basata sull’aleatorietà, sull’imperscrutabilità dei risultati di certe nostre azioni. È come avviene nel buddismo, in cui per le cause che si mettono non si sa quali effetti si avranno e quando. L’opera non ci dice cioè a che suono corrisponde una data forma o un dato gesto. Un approccio di tipo cartesiano, meccanicistico, è allora sbagliato, poiché queste sculture non vanno intese come strumenti, non rispondono cioè al paradigma generativo di una causa che può provocare uno o più effetti prevedibili. Trattandosi di opere d’arte con una memoria, e dunque una “crescita”, l’analogia più corretta da fare può essere quella con l’essere vivente. Lupone, pensando a una musica in trasformazione, in evoluzione, ha conferito una sorta di anima alle opere di Licia Galizia, accorciando sempre di più le distanza tra creatore e creatura.

Dunque, se da una parte si infrange il sogno di poter effettivamente capire che genere di musica una data forma possa comportare, dall’altra  ci troviamo di fronte a una plausibile espressione artistica delle leggi di natura.

Allez!
luglio 6, 2009

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